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lunedì 7 marzo 2016

Maradona è meglio ‘e Pelè

Con lo spettacolo “Maradona è meglio ‘e Pelè”, in scena al Teatro Ghione di Roma dal 1 al 13 marzo 2016, Gianni Clementini e Antonio Grosso ci raccontano uno spaccato della Napoli degli anni '90 (per l’esattezza la scena si svolge il 29 aprile del 1990, giorno in cui il Napoli, capitanato da Diego Armando Maradona, conquista il suo secondo scudetto).
Due “novelli sposi”, Aitano e Regina, si ritrovano in una stanza d’albergo di ritorno da una finta luna di miele in Messico che in realtà copre il contrabbando di cocaina per mezzo dell’ingerimento degli ovuli di plastica. Un viaggio, quello dei due protagonisti, intrapreso per cercare di dare una svolta alle loro difficili vite, vite che si intrecciano quasi casualmente, come le parole di un cruciverba, per andare a formare una fotografia di un tessuto sociale fragile e contraddittorio.
I due aspettano i narcotrafficanti che devono “recuperare” la cocaina una volta espulsa dai loro corpi. La parola d’ordine tra i quattro è la frase più in voga in quegli anni tra i tifosi del Napoli: “Maradona”, cui chi è al di là della porta fa eco: “è meglio ‘e Pelè”. Da qui il dipanarsi di una storia dai tanti risvolti.


Nella stanza troviamo tutti gli ingredienti che caratterizzano Napoli e i napoletani. La smorfia: 27, 'O cantaro (il vaso da notte) è il numero della stanza; le sfogliatelle del finto sposo che di mestiere fa il fornaio; Eduardo, il tuttofare dell’albergo, il “viceragazzoziodelragazzotitolare” che arrotonda cercando di vendere agli ospiti oggetti improbabili, tra cui alcuni mattoni del muro di Berlino raccolti nell’ultimo soggiorno nella capitale tedesca dove il cugino (“l’emigrante”) ha un ristorante...

Una situazione grottesca e paradossale, purtroppo neanche troppo inverosimile - egregiamente interpretata dai bravi Antonio Grosso, Lello Radice, Daniela Ioia, Giuseppe Cantore e Antonello Pascale - che riesce a farci divertire e insieme riflettere su argomenti drammatici quali il traffico di droga, la malavita, la prostituzione, lo sfruttamento del lavoro sia dell’operaio (“vorrei aprire un forno tutto mio”, dichiara Aitano) sia degli scagnozzi al servizio del capo cosca (“a Ciro i milioni e a noi le briciole”, per fare il lavoro più duro e più rischioso, per sporcarsi le mani, e qualche volta non solo in senso allegorico).
Il tutto esposto attraverso una messinscena essenziale ed interessante e una narrazione fluida che mantengono alta l’attenzione, per uno spettacolo da andare a vedere.
Al termine della rappresentazione il coautore e protagonista Antonio Grosso ha ringraziato gli Squinternati (associazione spontanea di spettatori, www.squinternatiroma.it) per l’importante supporto che offre agli autori teatrali garantendo la partecipazione di oltre settanta persone ad ogni spettacolo: “La presenza di questa Associazione che ci segue con affetto è un fatto importante per una compagnia privata come la nostra”.

Carlo D’Andreis

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