Con
lo spettacolo “Maradona è meglio ‘e Pelè”, in scena al Teatro
Ghione di Roma dal 1 al 13 marzo 2016, Gianni Clementini e Antonio
Grosso ci raccontano uno spaccato della Napoli degli anni '90 (per
l’esattezza la scena si svolge il 29 aprile del 1990, giorno in cui
il Napoli, capitanato da Diego Armando Maradona, conquista il suo
secondo scudetto).
Due
“novelli sposi”, Aitano
e Regina,
si ritrovano in una stanza d’albergo di ritorno da una finta luna
di miele in Messico che in realtà copre il contrabbando di cocaina
per mezzo dell’ingerimento degli ovuli di plastica. Un viaggio,
quello dei due protagonisti, intrapreso per cercare di dare una
svolta alle loro difficili vite, vite che si intrecciano quasi
casualmente, come le parole di un cruciverba, per andare a formare
una fotografia di un tessuto sociale fragile e contraddittorio.
I
due aspettano i narcotrafficanti che devono “recuperare” la
cocaina una volta espulsa dai loro corpi. La parola d’ordine tra i
quattro è la frase più in voga in quegli anni tra i tifosi del
Napoli: “Maradona”, cui chi è al di là della porta fa eco: “è
meglio ‘e Pelè”. Da qui il dipanarsi di una storia dai tanti
risvolti.
Nella
stanza troviamo tutti gli ingredienti che caratterizzano Napoli e i
napoletani. La smorfia: 27, 'O
cantaro (il
vaso da notte) è il numero della stanza; le sfogliatelle del finto
sposo che di mestiere fa il fornaio; Eduardo, il tuttofare
dell’albergo, il “viceragazzoziodelragazzotitolare” che
arrotonda cercando di vendere agli ospiti oggetti improbabili, tra
cui alcuni mattoni del muro di Berlino raccolti nell’ultimo
soggiorno nella capitale tedesca dove il cugino (“l’emigrante”)
ha un ristorante...
Una
situazione grottesca e paradossale, purtroppo neanche troppo
inverosimile - egregiamente interpretata dai bravi Antonio Grosso,
Lello Radice, Daniela Ioia, Giuseppe Cantore e Antonello Pascale -
che riesce a farci divertire e insieme riflettere su argomenti
drammatici quali il traffico di droga, la malavita, la prostituzione,
lo sfruttamento del lavoro sia dell’operaio (“vorrei aprire un
forno tutto mio”, dichiara Aitano) sia degli scagnozzi al servizio
del capo cosca (“a Ciro i milioni e a noi le briciole”, per fare
il lavoro più duro e più rischioso, per sporcarsi le mani, e
qualche volta non solo in senso allegorico).
Il
tutto esposto attraverso una messinscena essenziale ed interessante e
una narrazione fluida che mantengono alta l’attenzione, per uno
spettacolo da andare a vedere.
Al
termine della rappresentazione il coautore e protagonista Antonio
Grosso ha ringraziato gli Squinternati
(associazione
spontanea di spettatori, www.squinternatiroma.it) per l’importante
supporto che offre agli autori teatrali garantendo la partecipazione
di oltre settanta persone ad ogni spettacolo: “La presenza di
questa Associazione che ci segue con affetto è un fatto importante
per una compagnia privata come la nostra”.
Carlo
D’Andreis
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