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martedì 1 maggio 2012

«Crepare di Maggio ci vuole tanto troppo coraggio»

Così cantava Fabrizio De André quando trascorrevamo un’intera giornata sotto il palco di San Giovanni per festeggiare i diritti dei lavoratori, per celebrare la vita o semplicemente per ascoltare il concerto che tanto aspettavamo, il concerto della riscossa, della “guerra santa dei pezzenti” citando un altro affezionato di quel palco, perché se “gli eroi son tutti giovani e belli” non vuol dire che tutti i giovani e belli sono eroi.
Sembrava passasse tutta l’Italia in quella piazza di tende dalla sera prima, di birre, di ragazze in canottiera scottate da una giornata che da sempre è un anticipo dell’estate, di una giornata che riuniva un’intera generazione a saltare su uno stesso prato, una generazione sospesa tra un Primo Maggio e quello successivo, una generazione che ha solo sentito parlare di quei diritti dei lavoratori: la giusta causa, il minimo sindacale, il diritto alla pensione e tutti gli altri.
Più del trenta per cento di quegli ex ragazzi, o meglio di quegli eterni ragazzi, ora è senza lavoro e non sarà allargando la porta di uscita che riusciranno ad entrare o rientrare nel mondo del lavoro, non sarà togliendo appunto, l’articolo 18, l’articolo che regge tutti gli altri, senza il quale il lavoro non è più un diritto, non è più quel valore elementare su cui è fondata la nostra Repubblica.
Adesso è il turno dei lavoratori dell’agricoltura, domani sarà quello degli statali e dopodomani chi sa, fino a quando non ci ricorderemo più perché migliaia di ragazzi prendevano il treno la sera prima del Primo Maggio, dalla Sicilia, dalla Sardegna, dalla Puglia, da tutta Italia per andare nella piazza “del Primo Maggio” che è il sogno di tutti quelli che credono in un futuro migliore per chi vive del proprio lavoro.

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