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mercoledì 26 febbraio 2014

Non è mai troppo tardi, neanche per la RAI

“Non è mai troppo tardi”, fiction in due puntate andate in onda su Rai Uno il 24 e il 25 febbraio 2014 con Claudio Santamaria è uno dei pochi momenti in cui la Rai torna a fare servizio pubblico. Film che si inserisce nel filone delle ricostruzioni storiche, non sempre riuscite, della vita di personaggi che hanno lasciato un segno nella recente storia d’Italia. Questa volta la rete ammiraglia di Viale Mazzini lo fa ricordando la figura di Alberto Manzi, maestro e pedagogo, che sullo stesso canale faceva un programma, dal titolo “Non è mai troppo tardi” (appunto) che si prefiggeva il compito di insegnare a leggere e a scrivere a quelle persone che non avevano più l’età per andare a scuola. Il programma era sostenuto dal Ministero della Pubblica Istruzione. Mi sembra una buona occasione per la Rai per ricordarsi e ricordarci di quella che è la sua missione originaria, cioè quella di fare trasmissioni (prodotti direbbero adesso) di una qualche utilità pubblica e interesse culturale.

E non ci faremo dribblare dall’argomento che ormai non c’è più bisogno di certe trasmissioni. Pensiamo ad esempio a quanto importante sarebbe un corso di alfabetizzazione informatica in un paese che per l’utilizzo di internet e del computer in genere è agli ultimi posti delle classifiche europee; di quanto importante sarebbe per i più vecchi avere l’opportunità di collegarsi al resto del mondo, per giunta in un tempo dove sempre di più le famiglie sono separate da centinaia o migliaia di chilometri. Ci piacerebbe ad esempio che anche chi non è un professionista della scrittura possa lasciare la sua testimonianza di vita senza la necessità e di là dalle possibilità di pubblicare un libro; oppure contribuire ai processi democratici sempre più frequenti in rete, o più semplicemente avere la possibilità di leggere le notizie sul web, in un panorama editoriale sempre più omologato e al servizio dei poteri economici.
Padroneggiare certe tecnologie non è più solamente una questione di “stare al passo con i tempi” ma è diventato un modo per essere partecipi del mondo in cui viviamo. Ci piacerebbe sui social network leggere qualche volta i racconti delle feste con le lampadine colorate di persone che hanno faticato per arrivare alla quinta elementare o nei migliori casi alla terza media, ma tutti con la certezza che imparare a leggere e a scrivere (magari con la suddetta trasmissione) era necessario per emanciparsi, per conoscere, per mettere a frutto le proprie capacità e condividere con gli altri le esperienze.
Un invito non solo alla televisione pubblica a contribuire alla diffusione dei saperi, ma anche al Ministero della Pubblica Istruzione a ridare dignità alla scuola e ai docenti che tutti i giorni lottano per continuare a fare un lavoro sempre meno gratificante. Bisogna che l’istruzione riacquisti un ruolo centrale in un paese che si è sempre distinto per il suo alto livello culturale.

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