Così cantava Fabrizio De André quando
trascorrevamo un’intera giornata sotto il palco di San Giovanni per
festeggiare i diritti dei lavoratori, per celebrare la vita o
semplicemente per ascoltare il concerto che tanto aspettavamo, il
concerto della riscossa, della “guerra santa dei pezzenti” citando un
altro affezionato di quel palco, perché se “gli eroi son tutti giovani e
belli” non vuol dire che tutti i giovani e belli sono eroi.
Sembrava passasse tutta l’Italia in
quella piazza di tende dalla sera prima, di birre, di ragazze in
canottiera scottate da una giornata che da sempre è un anticipo
dell’estate, di una giornata che riuniva un’intera generazione a saltare
su uno stesso prato, una generazione sospesa tra un Primo Maggio e
quello successivo, una generazione che ha solo sentito parlare di quei
diritti dei lavoratori: la giusta causa, il minimo sindacale, il diritto
alla pensione e tutti gli altri.
Più del trenta per cento di quegli ex
ragazzi, o meglio di quegli eterni ragazzi, ora è senza lavoro e non
sarà allargando la porta di uscita che riusciranno ad entrare o
rientrare nel mondo del lavoro, non sarà togliendo appunto, l’articolo
18, l’articolo che regge tutti gli altri, senza il quale il lavoro non è
più un diritto, non è più quel valore elementare su cui è fondata la
nostra Repubblica.
Adesso è il turno dei lavoratori
dell’agricoltura, domani sarà quello degli statali e dopodomani chi sa,
fino a quando non ci ricorderemo più perché migliaia di ragazzi
prendevano il treno la sera prima del Primo Maggio, dalla Sicilia, dalla
Sardegna, dalla Puglia, da tutta Italia per andare nella piazza “del
Primo Maggio” che è il sogno di tutti quelli che credono in un futuro
migliore per chi vive del proprio lavoro.
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