“Non è mai troppo tardi”, fiction
in due puntate andate in onda su Rai Uno il 24 e il 25 febbraio 2014 con Claudio Santamaria è uno dei pochi momenti in cui la Rai torna a fare servizio pubblico. Film che si inserisce
nel filone delle ricostruzioni storiche, non sempre riuscite, della vita di
personaggi che hanno lasciato un segno nella recente storia d’Italia.
Questa volta la rete ammiraglia di Viale Mazzini lo fa ricordando la figura di Alberto
Manzi, maestro e pedagogo, che sullo stesso canale faceva un programma, dal
titolo “Non è mai troppo tardi” (appunto) che si prefiggeva il compito di
insegnare a leggere e a scrivere a quelle persone che non avevano più l’età per
andare a scuola. Il programma era sostenuto dal Ministero della Pubblica
Istruzione. Mi sembra una buona occasione per la Rai per ricordarsi e
ricordarci di quella che è la sua missione originaria, cioè quella di fare
trasmissioni (prodotti direbbero adesso) di una qualche utilità pubblica e
interesse culturale.
E non ci faremo dribblare dall’argomento che ormai non c’è più bisogno di certe
trasmissioni. Pensiamo ad esempio a quanto importante sarebbe un corso di
alfabetizzazione informatica in un paese che per l’utilizzo di internet e del
computer in genere è agli ultimi posti delle classifiche europee; di quanto
importante sarebbe per i più vecchi avere l’opportunità di collegarsi al resto
del mondo, per giunta in un tempo dove sempre di più le famiglie sono separate
da centinaia o migliaia di chilometri. Ci piacerebbe ad esempio che anche chi
non è un professionista della scrittura possa lasciare la sua testimonianza di
vita senza la necessità e di là dalle possibilità di pubblicare un libro; oppure
contribuire ai processi democratici sempre più frequenti in rete, o più semplicemente
avere la possibilità di leggere le notizie sul web, in un
panorama editoriale sempre più omologato e al servizio dei poteri economici.
Padroneggiare
certe tecnologie non è più solamente una questione di “stare al passo con i
tempi” ma è diventato un modo per essere partecipi del mondo in cui viviamo. Ci
piacerebbe sui social network leggere qualche volta i racconti delle feste con le lampadine colorate di
persone che hanno faticato per arrivare alla quinta elementare o nei migliori
casi alla terza media, ma tutti con la certezza che imparare a leggere e a
scrivere (magari con la suddetta trasmissione) era necessario per emanciparsi,
per conoscere, per mettere a frutto le proprie capacità e condividere con gli
altri le esperienze.
Un invito non solo alla televisione pubblica a contribuire alla
diffusione dei saperi, ma anche al Ministero della Pubblica Istruzione a ridare
dignità alla scuola e ai docenti che tutti i giorni lottano per continuare a
fare un lavoro sempre meno gratificante. Bisogna che l’istruzione riacquisti un
ruolo centrale in un paese che si è sempre distinto per il suo alto livello
culturale.
Nessun commento:
Posta un commento