KVK ovvero Karl Valentin Kabaret (l’ultima notte) è
il testo originale con il quale Paolo Perelli mette in scena la vita
artistica e umana di Karl Valentin, il Chaplin tedesco vissuto nella
Germania sotto il regime nazista. La scena si apre con l’ultima notte, una delle notti che hanno preceduto la morte di Karl Valentin, una delle notti in cui scriveva una
lettera al suo amico Bertold Brecht dove lo ringrazia per avergli
inviato la sceneggiatura de "Il grande dittatore" di Charlie Chaplin;
Da qui attraverso un gioco di flashback e metateatro
si racconta, nel ricordo dell’artista, la messa in scena di uno
spettacolo di cabaret di Karl Valentin, dove i suoi divertenti sketch
ci vengono riproposti con tutta la loro originale efficacia: trovate
esilaranti che si servono di un linguaggio e di una ironia vestita di
assurdo che ha lo scopo di distruggere i luoghi comuni, i discorsi
banali e rassicuranti della borghesia, gag che non avevano - che non
hanno - il solo scopo di divertire ma quello di irridere il potere e il
conformismo. Ri-contestualizzati nella scrittura di Paolo Perelli i
testi di Karl Valentin riassumono la forma e lo spessore che meritano
dando vita ad una messa in scena che rifiuta il puro intrattenimento.
Così che ci si ritrova ad essere due volte spettatore: di Perelli e di
Valentin che ci costringono ad un confronto con due narrazioni in uno
strettissimo rapporto dialettico. E allora ogni cosa assume una valenza
doppia in un gioco di continui rimandi e di scatole concentriche (il
già citato teatro nel teatro): la finestra sulla scena che si apre
durante le prove dello spettacolo è la porta attraverso la quale si
sentono i suoni di un regime che si organizza e che intimidisce gli
attori e di conseguenza per noi lo spazio scenico diventa una finestra
su un assurdo capitolo della nostra storia che non è poi così lontano e
che abbiamo il dovere di ricordare per rammentarne gli orrori. Non ci
dimentichiamo che il nazismo è conseguenza della crisi economica del
‘29 che in Germania ha prodotto cinque milioni di disoccupati, un
invito a tenere alta la guardia a non abbandonarsi mai, specie ora che
viviamo una crisi economica anche peggiore di quella, ad ignobili
razzismi, un invito a non cedere mai alla tentazione di additare il
nostro prossimo, quello più debole di noi, come il responsabile dei
problemi comuni.
Un rischio, quello delle dittature, che è sempre
dietro la porta, o fuori dalla finestra è il caso di dire (basti
pensare a quello che succede in Ucraina e al crescente consenso che
hanno formazioni che si richiamano esplicitamente al nazismo), se la
nostra cultura non sarà in grado di formarsi dei forti anticorpi contro
i totalitarismi. E il regime non ha risparmiato – purtroppo - Karl
Valentin e la sua compagnia teatrale e come si racconta nello
spettacolo: arriva l’ordine di chiusura del suo teatro, il cabaret
Ritter Spelunchen e non si ha nemmeno il tempo di finire le prove
generali, di provare quell’ultimo monologo di chiusura “Il finimondo”, «perché la fine del mondo è già arrivata».
Ed ecco che con un altro flashback torniamo a
quell’ultima notte, sono passati molti anni, Karl Valentin è solo in
una stanza della casa dove vive con la moglie, di questo ambiente
riusciamo non solo a sentirne la drammaticità ma ne percepiamo quasi
l’odore, l’umidità, grazie alla sapiente regia del maestro Paolo
Perelli e alla bravura di Antonello Spadea che riesce ad incorporare
nella costruzione del suo personaggio l’asma cronica e le sofferenze
fisiche che affliggeranno Karl Valentin fino alla morte. Antonello
Spadea da prova di grande sensibilità e di un’esperienza attoriale
consolidata. Buona anche la performance di tutti gli altri interpreti: Alessio
Canichella, Lia Cascone, Silvia Cucchiarelli, Letizia Fazio, Maurizio
Mancini, Lia Muscianese, Giulia Rosita Palanga, Paolo Panaro, Andrea
Parello, Martina Pirolli, Gabrile Principato Trosso.
Da quella stanza, in quell’ultima notte Karl
Valentin - Antonello Spadea buca la quarta parete per recitare al
pubblico il monologo de "Il grande dittatore" di Charlie Chaplin, che
vale la pena andarsi a rileggere-ascoltare e di cui vogliamo riproporvi
un periodo che ci dimostra che già Chaplin denunciava che l’ascesa di
Adolf Hitler fosse un risvolto della crisi del capitalismo: “La
macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà” (la sovrapproduzione ha
creato crisi di consumo, diremmo in una sintesi estrema, con Marx).
Ancora una volta Paolo Perelli, in un piccolo spazio
(www.essenzateatro.it), ci rende partecipi di un grande teatro
attraverso la scrittura di testi di spessore e la riscoperta di autori
poco frequentati.
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